domenica 19 settembre 2010

l'ultima volta

È la vigilia di una importante battaglia. La tensione nel campo è avvertibile e nessuno osa cantare, parlare, mangiare e, se si potesse, nessuno neppure respirerebbe. Non c’è paura, ma solo quell’ansia precedente il grande evento. La mia si scioglierà solo sul campo, vedendo il sole sulle baionette, sentendo il rullo dei tamburini e il passo deciso della fanteria. D’improvviso nelle tende c’è agitazione: il generale vuole arringarci. Usciamo come spinti da una molla automatica che nessuno sa bene quando ci è stata installata, ma sembra di avercela avuta sempre. Per una serie di circostanze fortuite, riesco a ritrovarmi nella prima fila del plotone schierato perfettamente. Il generale si avvicina sbrigativo, per nulla solenne, come se volesse evadere la pratica in fretta, lui uomo di azione più che di parola. Non riesco ad ascoltare il grumo di calorose invettive perché mi soffermo ad osservare il generale. Non gli ero mai stato così vicino. Scorgo la sua corporatura rigonfia, malcelata dalla divisa perfetta. Riesco perfino a percepire un sibilo del respiro mentre parla, impercettibile già a qualche metro di distanza. Intuisco la peluria delle orecchie, alcune macchie sul viso. Mi raggiunge persino, a folate, il suo odore, un miscuglio di cuoio, stalla e alcol. È talmente vicino che tutto mi sembra terribilmente umano. Un rigurgito acido mi blocca il respiro e faccio fatica per non vomitare. Intanto la breve arringa è terminata con il giubilo e l’esaltazione collettiva. Urlo anch’io ma mi rendo subito conto che questa volta è diverso. Domani andrò in battaglia ma sarà, comunque vada, l’ultima volta.

7 commenti:

  1. Niente male, davvero niente male!

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  2. domani nella battaglia pensa a me

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  4. Interessante la prospettiva narrativa nella quale si fronteggiano, ancora prima che in battaglia, le desinenze "corporali" dei personaggi; mi ha ricordato qualche pagina di Volponi e le qualita' tutte organiche di quei personaggi che impari a conoscere dalle "viscere" prima che dal loro
    vissuto. La metafora della battaglia e' pregna di rigurgiti simbolici per ognuno di noi: a me ricorda sempre che, a prescindere dai motivatori o dai compagni di trincea, siamo sempre da soli nel silenzio campale dal sapore ferroso che precede lo scontro cosi' come nell'aria dolciastra di sangue alla fine di ogni battaglia. Quel che so e' che non ci si puo' sottrarre,
    il piu' delle volte

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