Consideriamo due persone. Una è forte, piena di infinite risorse, dalle potenzialità sconfinate che non gli pongono praticamente nessun limite. L'altra è delicata, debole, con un perenne senso di smarrimento, mitigato dalla presenza del primo individuo. Si direbbe che le due persone siano legate in modo inscindibile, tanto che si potrebbe azzardare l'uso della parola “binomio”. La prima persona, quella più forte, ogni tanto, guidata dal capriccio, afferra la seconda persona per il collo e inizia a stringere, esercitando una adeguata pressione. Non ha bisogno di infondere molta forza, perché la discrepanza fisica tra i due è esageratamente a suo vantaggio. Mentre la morsa della mano si fa più pressante sulla sua gola, la persona debole non sembra voler reagire. Sorprendentemente vede nella prima persona la sola via d'uscita per questa incresciosa situazione e ne invoca l'aiuto pateticamente. L'atto di prevaricazione non comporta nessun mutamento del senso di devozione e sterminata fiducia che la seconda persona ha per la prima, anzi sembrerebbe quasi un gesto per cui essere grati. La stretta non cessa di essere dolorosa e un'ombra livida inizia ad apparire sul volto della seconda persona. La prima persona non ne viene impietosita e aumenta la pressione, incurante dello sguardo di muta supplica che incrocia il suo. Sa comunque che la seconda persona non muoverebbe un dito per districarsi. Quando il soffocamento potrebbe essere arrivato al momento decisivo, la prima persona lascia di scatto il collo della sua vittima inerme e resta imperturbabile. Liberata dal terribile pericolo, la seconda persona inizia a ringraziare il suo aguzzino, piangendo e baciandolo, quando ancora la respirazione non ha ripreso un ritmo regolare. L'atteggiamento è di prostrazione estrema e infinita gratitudine per il gesto salvifico appena compiuto che gli ha consentito di tornare a respirare. Questa scena ci disgusta e ci provoca un grumo di emozioni inesplose che potremmo provare a riassumere con il termine “rabbia”. Abbiamo adeguati valori morali che renderebbero questo atto di prevaricazione riprovevole ai nostri occhi.
Ora proviamo a caratterizzare i protagonisti e a rileggere la storia, cercando di capire se il nostro giudizio morale potrebbe risultarne modificato. Per esempio proviamo a chiamare “Dio” la prima persona e “Uomo” la seconda.
Non capisco cosa possa rendere credibile la caratterizzazione che viene proposta.
RispondiEliminaPer chi crede, nessun Dio si comporta in questo modo. Per chi non crede, manca un personaggio.
Mah.
Invece il rapporto uomo-Dio potrebbe assumere esattamente questa caratterizzazione, Luca.
RispondiEliminaQuesta.
Perché altrimenti ne resterebbe in piedi solo un'altra. Estremamente peggiore, riprovevole come non mai: quella di un Dio che non tiene per la gola il debole, smidollato uomo. No. Peggio. Lo guarda. Soffrire. Tenuto per la gola da altro. Da altri uomini. Dalla natura. Da sue creazioni comunque.
E non fa nulla.
Nulla.
Esattamente come accade.
È un Dio migliore, in questo caso?
Eppure...
Tertium non datur.
Che l'Uomo sia talvolta preso alla gola è destino della sua stessa natura, in quanto non divino, distante dalla perfezione (o da comunque voglia essere concepita la divinità) e soggetto alle difficoltà dell’immanente. Ma questo non vuol dire che sia Dio a tenerlo per la gola.
RispondiEliminaSartre ebbe a dire una volta che l'inferno degli uomini sono gli altri uomini; questo mi convince spesso, non sempre, e mi aiuta a non tirare in ballo Dio per le cose che non vanno come vorrei, o come penserei esser giuste. Dovrei ritenere Dio responsabile per Haiti o l’Abruzzo, per i campi di concentramento o le guerre religiose, per le infelicità e le sofferenze tutte? Io non credo. Io almeno.
Che poi un Dio che si limiti ad osservare sia peggiore dell’altro, di quello che elargisce sofferenze, non sta a me dirlo. Personalmente non vedo come possa essere peggiore, ma capisco che ci si possa riflettere. Ed è un bene che ci si rifletta. Propongo a proposito uno stringatissimo suggerimento all’analisi. Ovunque nella storia la presenza della divinità si è manifestata come elemento di ordine fuoriuscito dal disordine, dal caos. Una natura Divina concepisce quindi l’ordine, lo incarna e lo promuove, come elemento di maggiore perfezione. Questo almeno raccontano i miti e le storie delle religioni. Ma l’uomo non è divino e per di più è soggetto prima ancora alle leggi che la convivenza si è data, a quelle della Natura, ovvero del Sistema in cui l’Uomo stesso esiste. E queste leggi non sono fatte a misura di Uomo, non sono per la sua felicità. Pensiamo di nuovo ai terremoti citati sopra o alla stessa imperfezione della macchina umana. Perché Dio permetta all’Uomo di tenere per la gola altro Uomo, che di questi diventa il suo inferno come voleva Sartre, lo posso comprendere solo pensando al libero arbitrio. Perché Dio permetta alla Natura di tenere per la gola l’Uomo mi è più difficile immaginarlo. Forse per qualcosa di analogo al libero arbitrio che Dio esercita sui sistemi del creato. Qualcosa del tipo: noi stessi siamo elementi della Natura, distinti dal resto solo per una maggiore capacità cognitiva, e soggetti quindi alle regole e allo stesso destino di tutto ciò che ci circonda.
Per me non è Dio che ci tiene per la gola.
Felice sera a tutti.
Leggendo il tuo racconto, nell'ipotesi che esso rifletta la tua reale condizione spirituale e non sia solo uno "scherzo", emerge (a mio modesto parere) una immagine piuttosto inquetante della tua idea di Dio.
RispondiEliminaLa seconda persona potrebbe arrivare a dedicare alla prima una placca / piastrella / targa:
RispondiElimina"Per grazie ricevuta".
*"grazia", pardòn.
RispondiEliminaIo, se fossi Dio, non perderei mica tempo a strozzicchiare ogni singolo cristiano.
RispondiEliminaSe esiste un Dio sarà un timoniere, mica un nostromo.