mercoledì 20 aprile 2011

sguazzare nel tango

c'è una canzone di un famoso gruppo di tango moderno che si sente molto spesso in quegli ambienti rilassati e con vaghe aspirazioni di ritrovo di intellettuali, tipo locali per happy hour. la musica è piacevole, in alcuni frangenti quasi avvolgente e, per carità, io me ne lascio avvolgere senza opporre nessuna resistenza. nonostante l'abbia ascoltata negli anni svariate volte, l'altro giorno per la prima volta notavo che, durante l'esecuzione, il cantante ripete ossessivamente le parole "argentina, buenos aires". siccome non avevo molto altro a cui pensare, ho riflettutto che una canzone con un testo del genere è semplicemente idiota. è come se una canzone italiana avesse come unico testo "italia, roma" e nonostante ciò diventasse una hit popolarissima fra gli amanti degli aperitivi e degli happy hours. mi sono ripromesso che la prossima volta che mi capiterà di ascoltarla, se non potrò togliere l'audio o abbandonare di corsa il locale, almeno rivaluterò gli sforzi dei nostri bistrattati cantanti.

martedì 19 aprile 2011

pavidità

sabato sera silvia ed io siamo andati a teatro a vedere uno spettacolo scritto e diretto da un notissimo regista del cinema italiano. i biglietti erano stati prenotati tempo prima e c'era attesa anche grazie alla presenza nel cast di un notissimo attore del cinema italiano. tuttavia le quasi tre ore di noiosa rappresentazione ci hanno lasciato la netta sensazione di aver sprecato una serata. ne abbiamo parlato a lungo, trovandoci d'accordo nella stroncatura di una messa in scena così banale. il pomeriggio successivo, casualmente, incontriamo il regista a passeggio in bici con la figlioletta sull'aventino. silvia lo nota e lo saluta aggiungendo "ah, ieri abbiamo visto il suo spettacolo". lui ci ha sorriso e ha chiesto come fosse. l'occasione era unica: rispondere con una pernacchia, una parolaccia, una manciata di ghiaia, giusto per essere sinceri e schietti nel giudizio. ma, sarà stata la brezza dell'aventino, o il sorriso cortese del regista, o la scenetta familiare così tenera davanti a noi, non abbiamo trovato il coraggio necessario e gli abbiamo risposto "è stato bellissimo!".

giovedì 7 aprile 2011

scarpette bianche

Ricevette per il suo nono compleanno delle scarpe per giocare a pallone, ma non erano quelle tanto attese e richieste con l'amabile insistenza dei bambini. Erano semplici e bianche, di quelle che nel confronto tra coetanei possono essere lo spunto per sberleffi e prese in giro. Ma i suoi potevano permettersi quelle, lo sapeva, e le accettò con poco entusiasmo e un tipo di sentimento nuovo che solo dopo anni seppe chiamarsi rancore. Si vergognava molto di quel biancore assoluto ai suoi piedi, senza uno sbaffo colorato, senza un accenno di allegria spaccona che rende belle le scarpe a chi le indossa. Decise di disegnarci tre strisce per lato con il suo pennarello indelebile più colorato. Le disegnò dritte e perfette, mettendoci serietà, sperando che questo bastasse a proteggerlo dalle inevitabili risa dei suoi compagni di gioco. Dopo qualche anno, i suoi gli regalarono finalmente delle scarpe come si deve, colorate, belle, col profumo della gomma nuova. Ma questa volta il regalo lo depresse più dell'altro, perchè sapeva che i suoi piedi potevano starsene comodi solo a costo dei durissimi calli di chi aveva lavorato giorno e notte per poterle comprare. Successivamente si ritrovò per caso, facendo ordine tra le sue vecchie robe, le scarpe con le tre strisce disegnate. Prese un batuffolo di cotone imbevuto d'alcol e le spazzò via, cercando di rendere la pelle di quelle scarpe più bianca possibile.