sabato 27 marzo 2010

mi piace il presepe

Da bambino preparavo il presepe con mio padre. Ogni anno anticipavamo sempre un po' di più sui tempi canonici la realizzazione. Se non fosse intervenuta la pubertà a distogliermi dal presepe, immagino che saremmo arrivati a mettere i pastorelli al ritorno dalle vacanze estive. Il nostro scenario in cui far rivivere l'evento della nascita era una sfida sfacciata alle leggi della statica. Un pregiato mobile fungeva da scheletro, due cassette da frutta irte di chiodi ravvivavano il paesaggio, montagne di carta dalla fantasia “tuta mimetica da marine” coprivano tutto come una pelle. E la Palestina di duemila anni fa era restituita nel suo splendore più autentico. Terminata la costruzione del luogo che nessuna deriva dei continenti avrebbe potuto concepire così precaria, passavamo alla distribuzione delle statuette. Il naturale conflitto tra padre e figlio toccava punte di lirismo tragico quando si doveva decidere dove piazzare i re magi o la locandiera. Gli strilli capricciosi servivano a poco: non volevo sentire ragioni e mio padre poteva piagnucolare fino all'Epifania! Quel pastore fuori scala doveva stare proprio lì accanto alla casetta microscopica e i cowboy a cavallo potevano sfrecciare in slalom tra le pecore e le palme. Il siparietto durava intere ore e si placava quando uscivamo a comprare nuovi personaggi per poter proseguire il litigio sulla loro posizione. Quando tornavamo a casa ed eravamo pronti a riprendere le schermaglie, trovavamo un presepe nuovo, perfettamente organizzato, credibile, con uno spazio scandito razionalmente ed ogni statuetta al posto che competeva per logica. Mia madre aveva ricomposto tutto in dieci minuti.

sabato 20 marzo 2010

Lui

Eppure ci sarà un momento in cui è solo, in cui anche l'ultimo dei cortigiani ha chiuso la porta, accostandola con devozione e accorata cautela. Un unico solo istante in cui la stanza da letto non è riempita dalla pelle nuda che riveste ragazzine fragili e sognatrici. Il silenzio e la solitudine per poter riflettere. Non c'è necessità neanche di uno specchio, perchè questo rimanda solo un'idea, un progetto di persona, pensato esclusivamente al futuro per esorcizzare il tempo. In quell'attimo di raccoglimento, che ogni essere umano esige a buon diritto, dovrà necessariamente rivolgersi a se stesso con brutale sincerità. Una brevissima scossa, seguita da un brivido, poi il ridestarsi della coscienza vigile che gli impone la parte da recitare ossessivamente ogni giorno, con chiunque. E immediatamente dopo la necessità disperata di chiamare qualcuno.

lunedì 15 marzo 2010

insonnia

Poi c'era la storia di quel ragazzino che di notte non riusciva a dormire e perciò era costretto a pensare. I suoi arabeschi mentali diventavano grovigli, troppo arruffati per la sua giovanissima età. Serviranno molti anni per sbrogliarne alcuni, anche se il rischio che, con l'età adulta, si creassero nuove e più insidiose matasse era quasi una certezza. Tra le sue più ricorrenti fantasie c'era l'interrogativo su dove fosse in quel momento la persona con cui avrebbe condiviso la parte più bella della sua esistenza. Ne immaginava il viso. Ma sebbene fosse uno sforzo vano, cercava di generare ogni possibile combinazione di nasi, occhi, capelli... Non dormiva anche lei? O era troppo piccola per essere desta a quell'ora? E se non fosse neanche nata? Sapeva, steso con gli occhi fissi sul soffitto buio, che questa curiosità sarebbe rimasta infruttuosa per decenni, ma giurò di portarsela dietro, silenziosa in un angolo della memoria, certo che un giorno se ne sarebbe ricordato e che l'avrebbe raccontata, in un'altra notte insonne, guardando negli occhi la persona che aveva già immaginato.

giovedì 11 marzo 2010

ritratto

Dovevo terminare un ritratto. Avevo iniziato pensando a determinare con robuste linee i tratti essenziali e da principio era un metodo che funzionava. Si chiama capacità di sintesi: poche linee forti e la fisionomia è resa verosimile. Invece col tempo ho iniziato, senza accorgermene, ad aggiungere sempre più particolari. Piccoli arabeschi, linee più fitte, tocchi di colore di una varietà inusuale, lo spessore del tratto sottile fino al tollerabile. Il ritratto assorbe e risucchia ogni nuovo apporto e subito ne richiede altri ed altri ancora. Sembra sempre di arrivare al limite. Lo spazio non potrà accogliere null'altro! È troppo saturo! Invece, quasi magicamente, riesco a trovare un angolo infinitesimale che esige di essere riempito. Sarei tentato di scoprire fin dove la mia abilità possa spingermi nella minuziosità. Deve pur esserci un limite prima di arrivare al concetto matematico di punto! Ma intanto la mia pazienza tenace mi permette di proseguire e ho la folle speranza di poter continuare questo ritratto all'infinito.

(a S.)

martedì 2 marzo 2010

il regalo

S. è appostato su una collinetta ben protetta e non è visibile dal basso. Domina la piccola valle di sotto e la scandaglia col mirino del suo fucile. Non è una giornata che partorisce buoni presagi ed infatti uno sparuto manipolo di nemici compare, ignaro della minaccia incombente. Non si potrebbe davvero definire S. una minaccia guardandolo, ma la postazione e la sua arma riabilitano il suo aspetto ordinario e dimesso. Non resta che mirare e sparare, cercando la precisione e l'efficacia. Ma chi uccidere per primo? Non che sia fondamentale, visto che creperanno tutti in pochi minuti, ma è comunque una scelta, una decisione, ed ha comunque un peso sulla coscienza del soldato. S. li passa in rassegna guardando le loro facce avvicinate nel mirino. Forse quel sottufficiale dall'aria tracotante e sicuramente ebbro di guerra. Ma la prima uccisione è quasi un regalo perchè è inaspettata e non lascia il tempo di spaventarsi abbastanza. Gli altri avranno modo di accorgersi del pericolo e del destino, e i più scaltri riusciranno perfino a rimettere i loro innumerevoli e pesanti peccati. E' qualcosa da meditare prima di eseguire questo tipo di scelta. Per cui S. decide per colui che gli sembrerà più innocente. Dopo aver osservato più volte le facce e i movimenti di ognuno, decide per un soldato semplice con la divisa troppo inadatta al suo viso spaurito. E' proprio vero che certi capitano per caso in una guerra. S. si apposta meccanicamente come migliaia di volte ha già fatto, trattiene il respiro per restare fermo e recapita quello che ritiene essere l'unico regalo possibile nelle sue attuali condizioni.